martedì 21 ottobre 2014

La "scapece" della Città del Vasto ha origini remote

Un volume di Stanislao Liberatore in tema gastronomico
di GIUSEPPE CATANIA
La scapéce vastese ha una tradizione antichissima, che risale all'epoca dell'impero romano.
La conferma viene anche dal volume "I piaceri culinari del triclInio - origini, curiosità e personaggi sul banchetto dell’Urbe" di Stanislao Liberatore (Ed. Quale vita, Torre de" Nolfi, Aq, 2004). Un compendio che svela fatti ed avvenimenti della vita quotidiana di Roma Imperiale, all'epoca in cui il Foro brulicava di una folla di oziosi bighelloni che attendevano solo che scoccasse l'ora (circa le ore 16). Per il pasto principale delle famiglie patrizie preparato da servi schiavi, durante il quale il "padrone" manifestava "attraverso il lusso delle portate, la propria posizione sociale e per garantirsi una buona fama o un alto senso
dell'ospitalità".
Dopo aver accennato ad Apicio. uno fra i più famosi gourmet vissuto sotto l'impero di Tiberio e a cui si deve l'inimitabile, insuperato ricettario "De re coquìnaria" ed esaminato le abitudini, le curiosità e gli alimenti.
Stanislao Liberatore ricorda alcuni famosi banchetti passati alla storia e alla letteratura
gastronomica romana, tra cui Trimalcione, Nasidieno, per poi addentrarsi nella descrizione dei pasti e sulla cucina fino alla fine dell'impero. L'Autore non manca di valutare i tipi di vino, il pane, il "gurum", ossia la "Cleopatra delle salse", cioè la "Scapéce". Ed a proposito accenna alla
particolare pietanza insaporita con l'aceto.
"Tipico è la Scapéce della Città del Vasto - scrive l'Autore - dove i pezzi di pesce vengono
conservati sotto aceto". Una citazione, quella di Stanislao Liberatore, sulla scapéce
vastese che ha una antichissima tradizione, risalente, appunto, all'epoca dell'impero
romano. Peraltro Vasto, l'antichissima Histonium. municipio fiorente dei romani,
vantava nobili famiglie d'alto rango, tra cui ricordiamo Lucio Valerio Pudente, Caio Hosìdio Geta, Lucio e Marco Bebio, Tito Statorio, Publio Paquio, Marco Flavio, e tanti altri, che certamente,
avevano rapporti influenti con l'Urbe. E la tradizione della "scapéce della Città del Vasto ebbe fiorente produzione.
Infatti, a Vasto, fino alla fine del 1840 e da tempo immemorabile, esisteva un ''acetificio" condotto dalla famiglia Molino che non solo esportava in tutta Italia, ma confezionava la "scapéce", che oggi, solo alcune famiglie di marinai sono solite preparare per rifornire i ristoratori, per la delizia dei palati più raffinati. Per la curiosità dei lettori ricordiamo che Negli Statuti (o capitoli della bajulazione) indetti da Ottone I. nel 973.
nel libro 3. al cap.VII si recita: "Che nisuno venda pescio salato se non è stato quattro
dì in salsa"; IX: "Come si deve vendere la gelatina del pesce". Inoltre, nelle "consuetudini
municipali del 1808. nel capitolo "tariffe", è detto: "Salma di vino, aceto ed olio ad uso dell'equipaggio grana 6/1/2; Salma di aceto, di vino e di altro liquido, grana 5 a Casarza e Trave (tariffe riferite al trasporto).
E che la produzione era così vasta in città, è provato da appositi regolamenti per quanto riguarda il caricamento della merce, riferito al negoziante, il quale, "in comune poi col capitano" (della imbarcazione) "ei paga l'aceto che mettesi nelle botti, la tela per queste, carlini 4 per giorno al "pennellatore" 'facchino che dimenando nel barile grosso pennello di canapa, vi raccoglie l'olio residuale, cui spreme nella massa consegnata. Né carichi di aceto e vino la vastasia è tenuta alla somministrazione gratuita dei barili: la sua responsabilità ne' casi di perdite l'obbliga agli accomodi de' barili in qualunque genere di caricamento".
E questo dimostra come a Vasto l'aceto costituisse un genere molto importante e ricercato,
indispensabile per confezionare il "pesce marinato" Scapéce ».
Giuseppe Catania

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