venerdì 21 novembre 2014

CARABINIERI E BRIGANTI NEL VASTESE

IL BRIGADIERE DEI CARABINIERI CHIOFFREDO BERGIA SCONFIGGE I BRIGANTI POMPONIO E D'ALENA

 di GIUSEPPE CATANIA

L'Arma dei Carabinieri, sin dalla istituzione (nacque come "Corpo" nel 1814, ma ebbe il suo "scompartimento" il 24 gennaio 1861, mediante Luogotenenze, Stazioni, compagnie sotto il comando di 36 divisioni) ha assunto sempre un ruolo di notevole importanza nelle sue specifiche
funzioni di tutrice a salvaguardia del bene pubblico e degli interessi delle popolazioni coinvolte spesso, in maniera brusca, da fenomeni di criminalità.
Il territorio del Vastese, a fine '800, è stato teatro di un'epoca impresa
che i Carabinieri portarono felicemente a termine, nella irriducibile
lotta contro il banditismo che allora infuriava sinistramente e si profilava minaccioso nell'orizzonte delle pacifiche popolazioni.
Quella che allora i Carabinieri compirono, forse, rappresentò la prima operazione di polizia attuata in Abruzzo, e prese l'avvio da un episodio di brigantaggio che merita di essere ricordato, anche perché negli annali della "Benemerita" questo episodio, al pari di quelli attuali, rammenta lo spirito di abnegazione e di eroismo con cui i Militi sono soliti tener testa contro i responsabili di azioni criminose.
Nel 1870, tra l'Aquila e Campobasso imperversava una delle più feroci e temibili bande che la storia del brigantaggio ricordi: quella costituita dai fratelli Pomponio e di Pasquale D'Alena.
Giuseppe Pomponio, sui quale pendeva una taglia di tremila lire (un bel gruzzolo di milioni di oggi) doveva rispondere di ben venti omicidi, tentati omicidi, ferimenti e numerose rapine.Aveva già subito sei condanne capitali in contumacia.
Michelangelo Pomponio non era da meno del fratello Giuseppe, mentre Pasquale D'Alena rappresentava il "cervello" della banda, tra cui vi

era anche una ragazza di appena 18 anni, certa Filomena Soprano, che aveva ucciso per onore un uomo e che, datasi alla macchia, si era aggregata alla banda divenendo l'amante di D'Alena e vivendo con esso nella clandestinità, non senza essersi resa partecipe di gesta criminose.

Il 12 settembre di quell'anno i fratelli Giuseppe e Michelangelo Pomponio riuscirono a catturare un facoltoso commerciante, tal Gaetano Franceschelli, chiedendo ai suoi familiari una taglia di 12 mila lire per il riscatto.
Ma i banditi, ricevuta la somma, fuggirono sui monti, trascinandosi dietro l'anziano uomo catturato.
Per questo vennero avvisati i Carabinieri che inviarono sul posto il Brigadiere Chioffredo Bergia, un baldo piemontese, con la scorta di quattro uomini, con l'espresso compito di compiere giustizia e di tranquillizzare le popolazioni terrorizzate.
Il Bergia, con i suoi uomini in abiti di cacciatori, da Chieti si mosse il 21 settembre, e dopo 48 ore di marcia, raggiungeva le montagne di Liscia.

Il Brigadiere aveva sentito narrare che in mezzo ad un fitto bosco di quel paese esisteva una pietra ben levigata, detta "liscia", di notevoli dimensioni, dove i briganti che operavano nella zona, secondo il racconto della gente, erano soliti darsi appuntamento dicendo, appunto "Ci vediamo alla liscia!".
Al termine di quattro giorni di accurata perlustrazione il Chioffredo non era ancora riuscito a trovare alcuna traccia dei banditi, sicché, spingendosi verso Tufillo, seguendo una labile pista raccolta dalle voci della gente del posto, raggiunse il bosco di Dogliola.
Nei pressi, infatti, esisteva una grotta dove il bandito Pomponio con il suo seguito era solito nascondersi dopo le rapine compiute ai danni
di quanti si avventuravano lungo la strada di collegamentoVasto-Agnone-Campobasso. Appena inoltratisi nel fitto bosco, il brigadiere Bergia ed i suoi uomini furono presi di mira da una nutrita scarica di fucileria, ma senza subire danni.
Si trattava di due sentinelle della banda che avevano cercato in tutti i modi di fermare i Carabinieri.
Ma il Brigadiere Bergia si pose egualmente all'inseguimento di un bandito che nel frattempo si era staccato dal grppo, finché fra un alternarsi di colpi, esaurite le munizioni, si affrontarono corpo a corpo.
Il bandito allora estrasse un coltello, ma il Brigadiere fu più lesto ad evitare un fendente e ad afferrare il polso del brigante, a strappargli l'arma ed a finirlo con quello stesso coltello, dopo aspra lotta.
Il bandito venne poi riconosciuto come Pasquale D'Alena.
Poco distante, però, sostava il grosso della banda che conduceva prigioniero il commerciante Franceschelli.
Questi, infatti, udite le fucilate dello scontro con la pattuglia del Bergia ed i due banditi, approfittando di un attimo di distrazione dei suoi custodi, con uno strattone si liberò, raccolse da terra un archibugio e fece fuoco contro il capobanda Giuseppe Pomponio, colpendolo al petto.
Ma il brigante, sebbene ferito gravemente, estrasse un coltello, afferrò il Franceschelli e lo crivellò di pugnalate; poi, in un attimo oli furore, sollevò la vittima e lo precipitò in un burrone.
Il resto dei banditi raccolse il capo e lo nascose in una casetta isolata, ponendovi a guardia il brigante Bernardino Di Nardo e la giovane Filomena Soprano che si era fatta giurare dai suoi compari
di riservare a lei il compito di far fuori il Bergia, se qualcuno lo avesse preso.
Questo, frattanto, venuto a sapere che i banditi avevano intenzione di trasportare il loro capo ferito altrove, per metterlo al sicuro per meglio farlo curare, prese disegno di raggiungere il covo dei birbanti, incurante del pericolo.
Verso sera raggiunse la zona e riuscì ad assicurarsi la collaborazione dei contadini del luogo, predisponendosi per l'accerchiamento.
Il Brigadiere Bergia provvide ad armare 10 uomini del posto con fucili da caccia e si appostò insieme ai suoi militi.
Verso la mezzanotte comparvero una ventina di briganti armati di tutto punto che, appena giunti davanti
alla porta della casupola dove era custodito il Pomponio, furono accolti da nutrite scariche di fucileria e messi in fuga e, successivamente, quasi tutti uccisi.
Quell'impresa segnò l'avvio della sconfitta dei brigantaggio in Abruzzo che, in altri quattro anni cessò del tutto di esistere.
Ma un tale episodio merita di essere additato anche per rendere omaggio alla vigile attività della Benemerita che. grazie ai numerosi fulgidi esempi, ieri come oggi, con sacrificio di sangue, costituisce la sentinella sempre all'erta per la tutela e la salvaguardia della vita e della sicurezza nazionale.
Giuseppe Catania


























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