giovedì 30 luglio 2015

Esiste veramente ASPRA, città sommersa al largo di Punta Penna?

Tra mito e realtà, la città sommersa di Aspra ha alimentato per secoli la fantasia ed i racconti dei pescatori vastesi. Ma esiste veramente una città sommersa al largo di Punta Penna?
foto di repertorio

Nel volume Descrizione Topografica Fisica Economica Politica de’ Reali Dominj al di qua del Faro nel Regno delle Due Sicilie, pubblicato da Giuseppe del Re nel 1835, si legge: “Al di là di 2 miglia dentro il mare vi ha un luogo detto l’aspra, al fondo del quale si asseriscono avanzi di edifici e di strade, i quali si congetturano parti o d’isoletta o di lingua di terra sprofondata da ignoto cataclismo”. Altrettanto è riportato anche dallo storico
Domenico Romanelli nelle “Scoverte Frentane”, pubblicato agli inizi dell’800. Stiamo parlando di notizie scritte oltre duecento anni fa, possibile si tratti solo di leggenda come alcuni asseriscono?
Tra i vecchi pescatori vastesi, che conoscono molto bene ogni centimetro del nostro mare, si è sempre parlato della mitica Aspra, a circa due miglia dal largo di Punta Penna, dove fra le antiche mura, o alte e strette scogliere, nidifica in abbondanza il “pesce mandorla”. 

Pesca miracolosa”, titolava Il Vastese d’Oltre Oceano nel 1928: “Una vera pesca miracolosa, che i più vecchi marinai vastesi non ricordano l’eguale, è stata quella fatta all’Aspra dai nostri paracocci durante la giornata del 18 maggio, in cui restarono presi nelle reti circa 180 quintali di hirze e pisci mènnele. Spettacolosa la vista delle enormi masse di quei pesciolini ammucchiati lungo la spiaggia, venduti a viadichere (che li caricavano per portarli nei paesi della nostra montagna) al prezzo vile di 0,60 il chilo”.
Chiamata scientificamente Spicara maena, la mennola, ovvero il “pesce mandorlo”, come viene comunemente chiamato dalle nostre parti, ha la bocca protrattile e piccoli denti distribuiti sia sulla mandibola che nella mascella; presentano una colorazione grigia con riflessi blu scuro e possono raggiungere una lunghezza massima di 25 centimetri per i maschi e 21 per le femmine.
Questa specie, definita ermafrodita proteroginica, vive nelle vicinanze delle coste, dove si concentra in zone più o meno ampie all’epoca della riproduzione.
Oggi non è molto conveniente pescare all’Aspra, in quanto non rappresenta un pesce molto commerciale, ed inoltre, è molto elevato il rischio di strappare o rimanere impigliati con le reti (molto costose) tra gli stretti scogli.
Ma torniamo alla nostra misteriosa città sommersa, la nostra piccola Atlantide. I pareri degli studiosi e dei pescatori sono alquanto discordanti. Se qualcuno afferma che nel fondale marino sono presenti solo una serie di scogli, che in base alla loro naturale disposizione danno l’idea della presenza di una città sommersa, ci sono altri pareri autorevoli che affermano il contrario. In un interessante articolo pubblicato su Vasto Notizie del 1989, il compianto ing. Michele Benedetti, a quei tempi Ispettore onorario dei Beni Ambientali dell’Abruzzo, ricordava la sua personale esperienza: “Nel 1966 ci fu una grande mareggiata che portò via tutta la sabbia che copriva (e che ancora copre) alcuni resti: io stesso vidi, con i miei occhi, capitelli, colonne e mura. Volevo portar via qualcosa per testimoniare la loro esistenza, ma nel giro di una settimana tutto sparì nuovamente sotto l’enorme massa di sabbia a causa di un nuovo mutamento delle correnti marine”.

L’ingegner Benedetti, provò anche a cercare delle sponsorizzazioni per continuare le ricerche. Solo un imprenditore lancianese rispose all’appello, ma il ricercatore vastese preferì rifiutare la collaborazione per evitare che eventuali resti, appartenenti alla storia di Vasto, venissero portati altrove.
Un’altra preziosa testimonianza, che avvalora questa tesi, è quella dell’imprenditore vastese Achille Muratore. In un’intervista rilasciata a Marianna Di Desidero, affermava: “Circa 10 anni fa andai con il motopeschereccio di un amico e dopo aver viaggiato per quasi un’ora, siamo arrivati nei pressi di Aspra. Le reti venivano calate in punti prestabiliti per pescare il pesce mandorlo e, intanto, il peschereccio si muoveva come se percorresse una strada diroccata; dopo la prima pescata torna indietro nella stessa direzione come se c’era una strada sottomarina a guidare lo stesso peschereccio”.
Nel 1981, più precisamente tra il 30 marzo ed il 3 aprile, venne organizzata una spedizione da parte di alcuni ricercatori subacquei dell’Istituto di Fisiologia Umana dell’Università di Chieti, diretta dal prof. Piergiorgio Data, per fare luce sulla misteriosa città sommersa.  
Un’équipe di esperti attraverso i rilievi e mappe eseguite da una nave del CNR, appoggiati da una dragamine della Marina Militare, ha effettuato varie immersioni ottenendo dei riscontri interessanti. È stato rilevato che a sei miglia dal largo di Vasto esistono relitti di una certa entità, risalenti al III-IV sec. a.C., e strutture che un fenomeno di bradisismo ha sommerso. In particolare, è stato riscontrato, a 60 metri di profondità, una doppia gobba con sassi sulle cime, che fa pensare ad un’isola che qualche millennio fa era terra emersa. Il prof. Stefanon, al termine della campagna di ricerche, ha sottolineato che nel fondale si notano delle tracce di sedimentazioni uniformi, del caratteristico tipo “a spiaggia”. Si è in presenza di una zona rocciosa in emersione sul fondo, che ha le medesime strutture del promontorio di Punta Penna, di cui ne è la continuazione.
I nostri fondali sono ricchi di riferimenti interessanti, ma occorrerebbero ricerche lunghe e costose, che difficilmente verranno effettuate. Ed allora continuiamo a sognare il mito della nostra città sommersa, senza dimenticare un’altra leggenda, quella dei Bronzi di Riace trovati a Vasto. Ma questa è tutta un’altra storia. 


Lino Spadaccini



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