Tra mito e realtà, la città sommersa di Aspra ha alimentato
per secoli la fantasia ed i racconti dei pescatori vastesi. Ma esiste veramente
una città sommersa al largo di Punta Penna?
foto di repertorio |
Nel volume Descrizione
Topografica Fisica Economica Politica de’ Reali Dominj al di qua del Faro nel
Regno delle Due Sicilie, pubblicato da Giuseppe del Re nel 1835, si legge:
“Al di là di 2 miglia dentro il mare vi
ha un luogo detto l’aspra, al fondo del quale si asseriscono avanzi di edifici
e di strade, i quali si congetturano parti o d’isoletta o di lingua di terra
sprofondata da ignoto cataclismo”. Altrettanto è riportato anche dallo
storico
Domenico Romanelli nelle “Scoverte
Frentane”, pubblicato agli inizi dell’800. Stiamo parlando di notizie
scritte oltre duecento anni fa, possibile si tratti solo di leggenda come
alcuni asseriscono?
Tra i vecchi pescatori vastesi, che conoscono molto bene
ogni centimetro del nostro mare, si è sempre parlato della mitica Aspra, a
circa due miglia dal largo di Punta Penna, dove fra le antiche mura, o alte e
strette scogliere, nidifica in abbondanza il “pesce mandorla”.
“Pesca miracolosa”,
titolava Il Vastese d’Oltre Oceano nel
1928: “Una vera pesca miracolosa, che i
più vecchi marinai vastesi non ricordano l’eguale, è stata quella fatta
all’Aspra dai nostri paracocci durante la giornata del 18 maggio, in cui
restarono presi nelle reti circa 180 quintali di hirze e pisci mènnele.
Spettacolosa la vista delle enormi masse di quei pesciolini ammucchiati lungo
la spiaggia, venduti a viadichere
(che li caricavano per portarli nei paesi della nostra montagna) al prezzo vile
di 0,60 il chilo”.
Chiamata scientificamente Spicara maena, la mennola, ovvero
il “pesce mandorlo”, come viene comunemente chiamato dalle nostre parti, ha la
bocca protrattile e piccoli denti distribuiti sia sulla mandibola che nella
mascella; presentano una colorazione grigia con riflessi blu scuro e possono
raggiungere una lunghezza massima di 25 centimetri per i maschi e 21 per le
femmine.
Questa specie, definita ermafrodita proteroginica, vive
nelle vicinanze delle coste, dove si concentra in zone più o meno ampie
all’epoca della riproduzione.
Oggi non è molto conveniente pescare all’Aspra, in quanto
non rappresenta un pesce molto commerciale, ed inoltre, è molto elevato il
rischio di strappare o rimanere impigliati con le reti (molto costose) tra gli
stretti scogli.
Ma torniamo alla nostra misteriosa città sommersa, la nostra
piccola Atlantide. I pareri degli studiosi e dei pescatori sono alquanto
discordanti. Se qualcuno afferma che nel fondale marino sono presenti solo una
serie di scogli, che in base alla loro naturale disposizione danno l’idea della
presenza di una città sommersa, ci sono altri pareri autorevoli che affermano
il contrario. In un interessante articolo pubblicato su Vasto Notizie del 1989, il compianto ing. Michele Benedetti, a quei
tempi Ispettore onorario dei Beni Ambientali dell’Abruzzo, ricordava la sua
personale esperienza: “Nel 1966 ci fu una
grande mareggiata che portò via tutta la sabbia che copriva (e che ancora
copre) alcuni resti: io stesso vidi, con i miei occhi, capitelli, colonne e
mura. Volevo portar via qualcosa per testimoniare la loro esistenza, ma nel
giro di una settimana tutto sparì nuovamente sotto l’enorme massa di sabbia a
causa di un nuovo mutamento delle correnti marine”.
L’ingegner Benedetti, provò anche a cercare delle
sponsorizzazioni per continuare le ricerche. Solo un imprenditore lancianese
rispose all’appello, ma il ricercatore vastese preferì rifiutare la
collaborazione per evitare che eventuali resti, appartenenti alla storia di
Vasto, venissero portati altrove.
Un’altra preziosa testimonianza, che avvalora questa tesi, è
quella dell’imprenditore vastese Achille Muratore. In un’intervista rilasciata
a Marianna Di Desidero, affermava: “Circa
10 anni fa andai con il motopeschereccio di un amico e dopo aver viaggiato per
quasi un’ora, siamo arrivati nei pressi di Aspra. Le reti venivano calate in
punti prestabiliti per pescare il pesce mandorlo e, intanto, il peschereccio si
muoveva come se percorresse una strada diroccata; dopo la prima pescata torna
indietro nella stessa direzione come se c’era una strada sottomarina a guidare
lo stesso peschereccio”.
Nel 1981, più precisamente tra il 30 marzo ed il 3 aprile,
venne organizzata una spedizione da parte di alcuni ricercatori subacquei dell’Istituto
di Fisiologia Umana dell’Università di Chieti, diretta dal prof. Piergiorgio
Data, per fare luce sulla misteriosa città sommersa.
Un’équipe di esperti attraverso i rilievi e mappe eseguite
da una nave del CNR, appoggiati da una dragamine della Marina Militare, ha
effettuato varie immersioni ottenendo dei riscontri interessanti. È stato
rilevato che a sei miglia dal largo di Vasto esistono relitti di una certa
entità, risalenti al III-IV sec. a.C., e strutture che un fenomeno di
bradisismo ha sommerso. In particolare, è stato riscontrato, a 60 metri di
profondità, una doppia gobba con sassi sulle cime, che fa pensare ad un’isola
che qualche millennio fa era terra emersa. Il prof. Stefanon, al termine della
campagna di ricerche, ha sottolineato che nel fondale si notano delle tracce di
sedimentazioni uniformi, del caratteristico tipo “a spiaggia”. Si è in presenza
di una zona rocciosa in emersione sul fondo, che ha le medesime strutture del
promontorio di Punta Penna, di cui ne è la continuazione.
I nostri fondali sono ricchi di riferimenti interessanti, ma
occorrerebbero ricerche lunghe e costose, che difficilmente verranno
effettuate. Ed allora continuiamo a sognare il mito della nostra città
sommersa, senza dimenticare un’altra leggenda, quella dei Bronzi di Riace
trovati a Vasto. Ma questa è tutta un’altra storia.
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