Vicina alla figura di Antonio Rossetti è quella del poeta contadino Antonio Parisi, animatore indiscusso di "Štorie" per mezzo secolo, a cavallo tra l'800 ed il '900. Animatore di feste e banchetti nuziali del popolino,
Zì Ndonie Parèise era spesso invitato a recitare i suoi strambotti in onore degli sposi, ma nonostante il suo analfabetismo, e quindi la mancanza di conoscenza delle elementari nozioni di metrica e grammatica, improvvisava in vernacolo, la lingua a lui più famigliare, creando versi semplici dall’ironia pungente e sopraffina.
Si ricorda
che una volta, mentre era in campagna con la zappa sulla spalla, venne invitato
a improvvisare alcuni versi. Lui, prontamente, rispose:
Ajje zappate da stamatèine
Senza pane e senza vèine;
Stinghe stracche di fatejje,
Pozze fa' li puhisejje?
Un giorno
sollecitato da un giovane studente vastese ad improvvisare una poesia, con
indifferenza e, stranamente, in perfetto italiano, disse:
Oggi è giorno di lezione:
non bisogna fare il buffone.
In occasione
dell’apertura di un nuovo mulino fuori dal centro abitato, Zì Ndonie disse:
S’è rrapèrte lu muline di
foche
A lu Uaste a nu brutte
loche;
ma tra 'mbijghete e
macinènde
sonne 'na masse di
brighènde.
Tra la fine
dell'800 e i primi anni del '900 è stato un periodo molto fiorente per i
cantori di "Štorie". Antonio D’Adamo (Cillacchie), nelle sue storie amava
mettere in risalto le astuzie delle donne per ingannare gli uomini; Luigi Di
Santo (Sande Lujegge), nel 1912 si ispirò alla conquista della Libia da parte
dell’esercito italiano, mentre nel 1924 (domenica 10 febbraio) raccontò i
contrasti amorosi tra Micheline, Tirisine e Luiggine e, come si legge sulle
colonne de Il Vastese d’Oltre Oceano,
«…il pubblico è rimasto veramente
ammirato, più che pel valore poetico della Storie, per l’intrepidezza dei
componenti la comitiva, che durante tutto il pomeriggio di quella domenica, e
fino a tarda ora della sera, ebbero la costanza di cantarla senza interruzione,
sotto una pioggerella minuta e continua, che deve aver loro immolate persino le
ossa».
Una "Štorie"
rimasta memorabile fu quella scritta dall’analfabeta Ferdinando Calvano, autore
della Storia di Amba-Alagi, che fece
furore nel carnevale del 1896. Lo spunto arrivò dalla guerra italo-abissina,
quando un gruppo di soldati italiani, assalito da tremila scioani di Ras
Makomen, in Amba-Alagi, vennero sacrificati con il loro comandante, il maggiore
Pietro Toselli. Calvano scrisse una storia dal gusto sfacciatamente
patriottico, immaginando un Cacciatore d’Africa, che tornato in breve congedo,
racconta le vicende accadute ai genitori, alla fidanzata e agli amici. Tutti
ascoltano commossi la narrazione e interrompono
frequentemente con invettive e rabbia. Un veterano si lamenta di essere
troppo vecchio, uno zoppo si duole della sua infermità, il piccolo fratello
anche lui vorrebbe correre in Africa a vendicare il sangue sparso; mentre la
sua fidanzata si lamenta di essere donna e non uomo. A questo punto il giovane
Cacciatore dice: "Bastame noi, e a
chi li brutte facce nere dareme preste nu grande dispiacere". Ad
animare la scena, si legge sull'Istonio,
un gruppo di contadini, i quali "accompagnati
dal suono di un violino e da quello di una chitarra… senza corde, andavano qua
e là cantilenando, disposti in cerchio e stretti dalla folla". "La mascherata", commenta il
cronista del periodico vastese, "ha
fatto quindi la sua brava impressione al pubblico, grosso e minuto, per la
gentilezza del concetto e la spontaneità della forma; e se a questa è mancata, naturalmente, l'arte
poetica, l'argomento, di per se stesso patriottico è stato patriotticamente
svolto. E noi, oggi, alla distanza di una intera settimana, confessiamo di
esserne rimasti commossi e compiaciuti".
Tra gli
altri autori ricordiamo Angelo De Felice (Criscenze), che in occasione del
Carnevale del 1919 compose la Štorie
dell'Inglese Americano, Antonio Muratore
(Fo-Fo) e Sebastiano Ricchezza (Carpindàne). In particolare, questi
ultimi due sono stati brillanti animatori del carnevale del 1924. Il primo ha
raccontato i guai di una coppia di coniugi che avevano otto figlie nubili, ma
di cui quattro uscite incinte; tema leggero e divertente anche per l’altro
autore, con una ricca e bella giovane da maritare, a cui si propongono i vari
giovanotti del paese, manifestando la loro posizione sociale, affinché vengano
prescelti. Ma la giovane li rifiuta tutti perché è innamorata di Pippinille,
con il quale aveva anche "sciuvulete". Davanti al fatto compiuto, i
genitori non poterono far altro che acconsentire al loro matrimonio. Alcuni
versi ci sono stati tramandati dalla memoria di Francesco Paolo Cieri:
E la fèjje di "fiore de
rìute"
ere graziàuse e ere
panzìute,
ere graziàuse e faceve la
chìure:
quàlle era la… crijatìure!
A
proposito di Carpindàne, nel 2011 Nicola D'Adamo, l'animatore del blog NoiVastesi, ha raccolto dalla viva voce
della madre, Clorinda Cicchini (1925-2012), il testo di una Štorie, cantata negli anni
immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Seppur incompleta in alcuni passaggi, il testo
rappresenta un documento di straordinaria rilevanza. La versione qui presentata
è la rielaborazione effettuata dal poeta Fernando D'Annunzio, sul testo
raccolto e trascritto da Nicola D'Adamo.
(marito)
Oh mojja ma’ l’haj’avùte ‘na cartuluène
Lu ‘mbârche j’é dirètte pi’ Missène
‘ Scì ’ccise a àsse che me l’à mannäte
Mo jé tre mmèse chi ‘i sém’ accumbuagnäte
J’ mi ni pârte e mi ni vâje tande scundènde
J’ mi li sènde ca ni’ mi jè cummunènde
M’ariccummuânne, abbade a ttaie
Ni’ mmi li dä nu dispiaciàre.
(moglie)
Marètime é tré ânne che si n’é jjüte
E nisciùna nuvutä’ aje sapüte
Mo li tinghe nu grosse pinzìre...
Certe si trove pruggiunìre
Ma mo mi trove a nu nnabbèsse
Vulésse ca n’ariminèsse
Nghi ‘šti ‘nglèise affizziunàte
Vidéte che ci’haje cumbunàte
(e tira fuori un bambolotto)
(marito)
Oh moja ma’ da la huèrre aj’ ariminüte
Quélle che si fâtte jè l’haje sapüte
M’adà ggiurué la viritä’
Jè nghi tta mi ci vuj’ ariccumbuagnä’
N’addre priggiunìre di Missèine
N’à truvuäte ‘na quarandèine-
(moglie)
Mi ci’haje masse ‘ca jére di n’addra nazziàne
Ni’ mmi cridàve ca ci facéve ‘štu pupuattàne
M’avé prumuasse ca doppe la huèrre
Mi si minìve a toje e mi si purtäve
all’Inghilterre
Mo j’é paricchie ânne che se n’é jüte
Jè ni’ ll’haje cchiù vvidüte
Addije Amèriche e Inghiltèrre
Chište é ricurde che lasse la Huèrre!
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