lunedì 1 febbraio 2016

Verso il CARNEVALE (1/5), le origini de "LA STORIE" (Canto satirico)


di Lino Spadaccini

Dopo il buon successo dell'edizione 2015, che ha riportato tanta gente in piazza per la festa di Carnevale "C'erano una volta… cavalieri, principesse, pirati, maghi, draghi - Tutti in piazza con Cupido", organizzata per iniziativa dell'associazione di volontariato Ricoclaun e dell'associazione culturale "Officina in
fermento", in collaborazione con il Consorzio Vasto in Centro, Confesercenti, Confcommercio e Comune di Vasto, per quest'anno, a pochi giorni dal Carnevale, tutto tace.
Quello che probabilmente ci aspetta per la prossima domenica di Carnevale, così come già successo negli anni precedenti, è una piazza desolatamente vuota.
Quasi tutte le tradizioni carnascialesche vastesi di un tempo sono ormai scomparse: parliamo del "Carnevale morto", de "lu Bballe mîte", de "La Cavallarèjje", ovvero la tradizionale mascherata a cavallo dei vetturali vastesi, in ricordo delle incursioni turchesche sulle nostre coste, e delle sfilate dei carri allegorici organizzate da don Felice Piccirilli verso la fine degli anni '50, e dalle amministrazioni comunali, in collaborazione con parrocchie e associazioni cittadine, fino all'ultima edizione del 2008.
L'unica tradizione che ancora oggi prosegue, e bisogna riconoscerlo, anche con grande successo, è
"La Štorie" scritta dal poeta Fernando D’Annunzio: un appuntamento molto atteso, che propone una sintesi dei principali avvenimenti dell’anno appena trascorso, partendo da quelli a livello mondiale e nazionale, fino a giungere a quelli propriamente locali, attingendo soprattutto dalla classe politica, che non manca mai di fornire spunti interessanti.
Prima di gustarci l'edizione 2016, ripercorriamo in cinque puntate storie e personaggi che nel tempo hanno animato questa bella tradizione carnascialesca vastese.
Lette o cantate le "Štorie" sono state portate avanti e tramandate di generazione in generazione, dalla gente del popolo: persone semplici e argute che animavano le feste di carnevale con le pubbliche recite o sotto forma di cantata in versi, per lo più ottonari e quasi esclusivamente dialettali, come forma di intrattenimento goliardico e umoristico.
Secondo la tradizione, durante le domeniche precedenti l’ultimo giorno di carnevale, lungo le strade sfilavano cortei mascherati che procedevano a coppia. Una decina in tutto, queste coppie erano formate da giovani che portano a braccetto altri giovani vestiti con abiti femminili. Nelle varie piazze, i figuranti si disponevano in cerchio e accompagnati dal suono di una fisarmonica, ogni coppia avanzava verso il centro e cantava una strofa de "La Štorie". Di solito le ultime due strofe venivano cantate da tutti i personaggi in coro.
I soggetti preferiti dagli autori erano gli avvenimenti straordinari (come ad esempio nel 1910 per l’apparizione della Cometa di Halley), patriottici (come nel 1912 per la conquista della Libia) oppure prendendo spunto dai semplici fatti di vita quotidiana, dai personaggi più in vista o curiosi della città ed anche da storie con intrecci amorosi, conditi con un pizzico di pepe. Al termine dell’esibizione, il capo comitiva ringraziava il pubblico presente, chiedendo scusa per eventuali allusioni sarcastiche rivolte a personaggi del luogo, e dava appuntamento all’anno successivo.
La mancanza di riferimenti storici certi non ci permettono di risalire alle origini de "La Štorie". Tuttavia, alcune pagine manoscritte, conservate presso l’Archivio Storico "G. Rossetti", ci riconducono ad un primo approccio verso questa forma di poesia estemporanea, di cui esponenti indiscussi furono Antonio Rossetti e Michele Genova.

Di animo nobile e gentile, Antonio Rossetti, come i fratelli minori Gabriele e Domenico, amava cimentarsi nella nobile arte della poesia, definendosi "incolto natural vate". La sua era una poesia d'occasione di ispirazione spontanea, contraddistinta per lo più dal testo arguto e pungente, prendendo spunto dagli avvenimenti paesani. Se lievi riferimenti carnascialeschi si possono ritrovare nell’atto unico della "Farsa Bernesca", scritta in dialetto napoletano, con protagonisti Pulcinella, il Mago e la Strega, "Il Ritorno di Carnevale dal suo esilio", non lascia dubbi sull’argomento trattato. Rappresentata a Vasto nel 1814, su musica di Domenico Casilli, la scenetta in lingua, rappresenta un’allegoria sul Carnevale che, dopo un anno di lontananza, ritorna "tutto smargiasso" per "il sospirato giorno concesso a riabbracciarci", e alla fine si finisce tutti all’osteria "a mangiare robe di grasso in quantità", naturalmente davanti ad un buon bicchiere di vino.
Versi più interessanti e spontanei, anche con riferimenti a fatti quotidiani o a personaggi, sono le occasioni d’incontro con l’allegra compagnia. Un classico esempio è il "Brindisi recitato in un pranzo offerto dal Padre Guardiano nel Convento di S. Onofrio". Ecco alcuni passi:
La mia Musa, no, non langue!
Farò scorrer qui del sangue!
vegg’io mai nell’Atmosfera!... assiso
Su d’un gruppo di nubi in aria corre
Il gran Pudente! Ei già s’arresta, e fiso
Vasto guata, e lui così discorre:
Antonio Rossetti
Mia Patria Istonio
Rossetti Antonio
è un Pulcinella, è un Pantalone
è un Brighella, è un reo buffone.
Tommasi è grande,
e su te spande
Gloria e fulgore
e immenzo onore!

Se nelle Štorie moderne la politica la fa da padrona, non era da meno al tempo del Rossetti. Convinto liberale e per questo malvisto dalla polizia borbonica, il poeta vastese non perdeva occasione di evidenziare il problema della pressione delle tasse sulle spalle della povera gente. A due secoli di distanza i versi del "Dies illa de Cittadini di Vasto" suonano ancora molto attuali:
Noi paghiam sovra il sale,
Ed è questo poco male:
Paghiam pur gabelle tre
Ne saper possiam perché
La regal carta bollata
Convien pur che sia pagata
Il Registro, e fondiaria,
L'ipoteca, ed anche l'aria
Se vogliam respirare
Noi dobbiam ben ben pagare
Infelici noi meschini
Paghiam pure sovra i vini,
E chi affatto non li beve
Pur tal dazio pagar deve […]
E pagar si deve, e zitto
Se si grida è un gran delitto! […]
Ed i nostri governanti
Son mangioni tutti quanti.
Basta ch'essi stanno bene
Non si curan delle pene
Che noi tutti soffriamo,
Ed assassinati siamo […]
Dies illa, dies irae
Quando oh Dio vorrà finire? […]



Molto interessante anche la figura di Michele Genova, valente epigrammista, capace di commentare con pochi versi, in maniera pungente, i principali avvenimenti locali. In merito ad un ritratto di Antonio Rossetti eseguito da Filippo Palizzi, Michele Genova disse:
Questi è Rossetti, esclama ognun rapito;
Tal delle tinte è il sovrumano accordo,
Tutto il pittor gli diè, fuorché l’udito,
Per non opporsi a Dio, che lo fè sordo.
In un’altra occasione, dopo una ordinanza del Sottintendente Nicoletti per il Giovedì Santo del 1851, in cui proibì ai vastesi di portare la barba, disse:
A seconda degli ordini emanati
Pochi saran Giudei, molti Pilati!
Per un sindaco non proprio capace disse:
Se Manhes per le sue gloriose gesta
Fu di civica lapide onorato,
Ciccio, che per la patria ognor si presta,
Sarà da lei senz’altro lapidato!.
Purtroppo, di tutta la raccolta di epigrammi rimane ben poco, in quanto negli ultimi anni di vita, le facoltà mentali l’abbandonarono e un giorno diede fuoco alla ricca biblioteca di famiglia, distruggendo quasi tutto, compreso gran parte dei suoi scritti.

Conservata presso l'archivio storico comunale è il volumetto "La Peppeide", un originale e strambo poemetto diviso in 35 epigrammi che ruotano intorno alla figura di Peppe. Ecco un piccolo assaggio della poesia del Genova:
Permetteva un antico rituale
Mascherarsi soltanto in carnevale,
Dacchè siano mascherati in tutto l’anno,
Maschere in carneval più non si fanno.
E’ nato in mezzo ai cavoli
Un altro cavoletto,
E tutti m’assicurano
Ch’è un cavolo perfetto
Ma poter decidere,
Vorrei sapere anch’io
A chi più rassomigliasi
Al padre od allo zio?











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